INVIDIA PER I CATTOLICI
L'invidia è considerata il peggire dei sette vizi capitali, forse perché include in se l'odio, il furto, il tradimento, la bramosia ed infine anche l'omicidio.
L’invidia è uno dei primi sentimenti dell’uomo. Sin dai primordi della creazione l’uomo ha convissuto con questo impulso. Caino, primogenito di Adamo, è il primo esempio di uomo invidioso. “Il Signore guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo viso era abbattuto" (Genesi 4:4-5). Caino invidiò Abele, il cui sacrificio era stato gradito da Dio, invidiò, cioè, il favore di Dio che non aveva ottenuto e che volevo conquistare.
Giuseppe è invidiato dai fratelli che lo vendettero come schiavo, Saul invidiò i successi di Davide, i Farisei invidiarono Gesù e lo diedero in mano ai Romani perché lo condannassero a morte.
Del resto la Bibbia non allude velatamente all’invidia, ne fa esplicita condanna:”Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il servo, né la serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo” (Esodo 20:17).
E’terribile la punizione che spetta a queste anime. Per la legge del contrappasso, sono punite con la cuciture delle palpebre, allo stesso modo in cui anticamente si faceva con lo sparviero a cui per addestrarlo veniva effettuata l’accigliatura, cioè gli venivano cucite le palpebre. Queste anime quindi non solo non possono vedere, sono anche ostacolate nel pianto, poichè le lacrime non defluiscono dal sacco lacrimale in quanto impedite dalla cucitura.
INVIDIA PER L'EBRAISMO
Nell’Ebraismo si compie per cosi dire un’opera di “prevenzione” nei confronti dell’invidia. In primo luogo è noto per il credente che quanto compie atti non ritenuti conformi alla sua fede, la colpa di questo peccato potrebbe ricadere su di un altro individuo appartenente alla sua religione. Infatti il credo religioso ebraico è basato sull’idea che ogni individuo è responsabile di un altro individuo. Una delle preghiere quotidiane degli ebrei consiste nel chiedere perdono di tutti i peccati esistenti, elencandoli in ordine alfabetico, il che consente di giustificarsi anche per quelli non compiuti, ma che comunque potrebbero coinvolgere il credente. Il sentimento dell’invidia definito come “sentimento di avversione, di malevolenza, di ostilità che porta a desiderare il male altrui”, viene prevenuto anche con l’aiuto del nucleo familiare che cerca di crescere ogni generazione nel rispetto degli imperativi biblici e religiosi. E’ poi assoluto il biasimo della comunità nei confronti dell’invidioso, questo è ovviamente un fattore che scoraggia l’invidia, rendendola inefficace nella sua esternazione.
INVIDIA PER L'ISLAM
Nell’Islam esiste una curiosa situazione, nel senso che coloro che abbracciano la fede islamica, non possono invidiare, ma sono solo invidiati. L’individuo viene istruito ad accettare i suoi limiti e le possibili diseguaglianze nel mondo terreno. Come si può invidiare qualcuno che non per suo volere, ma per volere di Allah è l’invidiabile?
"Guai dall'invidia! L'invidia consuma le opere di bene come il fuoco consuma la legna." (Abu Daud n° 4903)
INVIDIA PER IL BUDDISMO
La filosofia buddhista la considera uno dei fattori mentali (cetasika) che possono associarsi allo stato mentale (citta) dell'odio.
L'invidia implica un formidabile spirito critico che può essere utilizzato costruttivamente. Il suo contrario, nell'insegnamento buddista, è mudita, un atteggiamento congratulatorio che consiste nell'apprezzare i successi e le qualità degli altri. Per disinnescare l'automatismo dell'invidia, la prima cosa da apprezzare — secondo i maestri buddisti — è proprio questa poderosa facoltà critica che, se rivolta a se stessi invece che agli altri, diventa un eccellente strumento di autoconoscenza. In pratica si tratta di impiegare la facoltà critica per osservare le proprie tendenze innate allorché si manifestano nella vita quotidiana, invece di estrofletterla per giudicare gli altri e paragonarsi a loro.
Nella meditazione vipassana i turbamenti dovuti all'invidia (o alla gelosia, alla rabbia, all'odio, al rancore ecc.) vengono trattati come semplici senzazioni, poiché come senzazioni li percepiamo. Non si tratta di pensare all'invidia, alla gelosia ecc. ma di toccare il sentimento che avvertiamo, esplorando il sintomo che ce lo rivela, accettandolo e vivendolo così com'è, senza cercare di modificarlo o allontanarlo. Commutando l'attenzione dal pensare al sentire, tocchiamo la sensazione originata dal turbamento e, mantenendola nel corpo, ci rendiamo conto che è mutevole, in continuo divenire e non così solida e duratura come ce l'eravamo rappresentata allorché la evadevamo, disconoscendola e contemporaneamente continuando a ricrearla compulsivamente col pensiero ripetitivo. Realizziamo che il pensiero precede il turbamento, che ne è la causa, l'origine. Verifichiamo di prima mano che il turbamento nasce nella mente e nella mente finisce.