venerdì 1 aprile 2011

il peccato

Nell'etica ed in alcune religioni, si parla di peccato come di un atto moralmente illecito, una condotta considerata riprovevole, in contrasto con la coscienza e con i principi e le norme morali riconosciute dalla persona e nell'ambito della società in cui vive. In alcune religioni l'atto peccaminoso consiste generalmente nel superare, anche involontariamente, i limiti posti dalla sfera delle cose sacre e quella delle cose profane. In tale caso più che riprovevole moralmente, il peccato è considerato pericoloso perché può attirare sul peccatore e su tutta la comunità la maledizione della divinità offesa e perciò richiede una qualche sorta di espiazione affinché l'equilibrio turbato sia ristabilito.In altre religioni il peccato attiene alla sfera morale e alla volontà ed è strettamente individuale, sebbene possa avere anche delle ripercussioni sociali.

IL PECCATO SECONDO LA CHIESA CATTOLICA

Nel compendio del catechismo della Chiesa Cattolica il peccato è definito come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna» (sant'Agostino). È un'offesa a Dio, nella disobbedienza al suo amore. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. Cristo nella sua Passione svela pienamente la gravità del peccato e lo vince con la sua misericordia.In quanto alla natura del peccato una distinzione va fatta per il peccato originale. Con un'affermazione lapidaria l'apostolo Paolo sintetizza il racconto della caduta dell'uomo contenuto nelle prime pagine della Bibbia: « a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte » (Rm 5,12). L'uomo, contro il divieto di Dio, si lascia sedurre dal serpente e allunga le mani sull'albero della conoscenza del bene e del male, cadendo in balia della morte. Con questo gesto l'uomo tenta di forzare il suo limite di creatura, sfidando Dio, unico suo Signore e sorgente della vita. È un peccato di disobbedienza che divide l'uomo da Dio. Adamo, il primo uomo, trasgredendo il comandamento di Dio, perde la santità e la giustizia in cui era costituito, ricevute non soltanto per sé, ma per tutta l'umanità: « cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta del peccato originale che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali ».
Il peccato prolifera nell'uomo perché il peccato trascina al peccato, e la sua ripetizione genera il vizio. I vizi, essendo il contrario delle virtù, sono abitudini perverse che ottenebrano la coscienza e inclinano al male. I vizi possono essere collegati ai sette peccati cosiddetti capitali, che sono: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità, pigrizia o accidia.

 IL PECCATO SECONDO I GIUDEI

Il Giudaismo è motivato dal desiderio di fare la volontà di Dio. Esso crede che questo volere è trovato nella legge Mosaica, come è stata elaborata e applicata alle varie circostanze durante i secoli.
Nel Giudaismo rabbinico, il buono e il cattivo sono sempre possibilità per l'uomo, ma la sua basilare dignità e bontà richiede che esso sia libero per inclinare la bilancia da una parte o dall'altra e la sua inclinazione è di scegliere il buono.
Perciò, il Giudaismo è ottimistico sulla abilità dell'uomo di fare il volere di Dio ed il peccato non è generalmente un concetto di maggiore importanza.
 In ogni modo, non c'è concetto del bisogno di rigenerazione.  Se un Giudeo si è smarrito da Dio, c'è soltanto bisogno che ritorni (il significato Ebreo di "pentimento") e cammini di nuovo nella via del Signore.
 I Giudei credono che Dio si aspetta che uno faccia il meglio che può con quello che ha, che include educazione, abilità innate, e la situazione in cui una persona si trova e abbia il potere di perfezionarsi. Anche su questa bilancia una persona non usa tutto il suo potenziale o utilizza tutte le opportunità. Perciò la gioia nel Mondo a venire di uno, dipende da quanto questa persona usa di quello che ha su questa terra.
Nel Giudaismo, la salvezza non è un termine comunemente usato. Per entrare nel paradiso di Dio una persona deve seguire i comandamenti di Dio nella Torah. I Gentili devono solo seguire i 10 Comandamenti ,ma  i Giudei devono seguirne 613. 

Il peccato nell'Islam

L'Islam vede il peccato (dhanb, thanb) come qualsiasi cosa che vada contro la volontà di Allah. L'Islam insegna che il peccato è un atto e non uno stato dell'essere. Il Corano insegna che “l'anima (umana) è certamente predisposta al male, a meno che il Signore non le doni la Sua Misericordia”, e che neppure i profeti assolvono se stessi da questa colpa (Corano 12:53). Maometto diceva:“Fai buone azioni in modo corretto, sincero e con moderazione, e gioisci, perché le buone azioni di nessuno sono sufficienti a metterlo in Paradiso.” I Compagni chiesero, “Nemmeno tu, o Messaggero di Allah?” Lui rispose, “Neppure io, a meno che Allah non doni il Suo perdono e la sua misericordia a me”.
Nell'Islam si ritiene che Iblis (il Satana della tradizione Giudaico-Cristiana) abbia un ruolo significativo nel tentare l'umanità verso il peccato. Quindi la teologia Islamica identifica e ci mette in guardia da un nemico esterno dell'umanità che la conduce al peccato (Corano 7:27, 4:199, 3:55 ecc). In vari versi il Corano (Corano 2:30, 7:11, 20:116) spiega i dettagli della tentazione di Iblis nei confronti di Adamo e in (Corano 7:27) afferma che lo schema di Iblis per tentare l'uomo è lo stesso usato per tentare Adamo, cioè Allah impone una legge per l'uomo ma invece l'uomo obbedisce ai suoi desideri più bassi e non si guarda dalla tentazione del suo nemico. Iblis tradisce l'essere umano offrendogli vane speranze laddove invece lo conduce all'errore, aiutato in questo dal fato. Quindi esso trasgredisce i limiti impostigli da Allah e disobbedisce ai Suoi comandamenti. Diviene quindi giustamente soggetto al giudizio e alle afflizioni impostegli da Allah. Ma come proposto dalla versione coranica della storia di Adamo, l'uomo può rivolgersi ad Allah con le parole che la divinità gli ispira dopo aver fallito nella prova imposta, perché Egli è colmo di Misericordia. (Corano 2:37).
I Musulmani ritengono che Allah sia adirato per il peccato e punisce alcuni peccatori con le fiamme di jahannam (l'inferno) ma è anche ar-rahman (il Compassionevole) e al-ghaffar (Colui che Perdona). Si ritiene che il fuoco di jahannam abbia una funzione purificatrice e che dopo tale espiazione un individuo che era stato condannato al jahannam può entrare nel jannah (il Giardino), se aveva avuto “un atomo di fede”.

IL PECCATO SECONDO L'INDUISMO

Nell'Induismo non esiste peccato contro un Dio Santo. Trasgressione non sono atti contro qualsiasi Dio ma sono atti di ignoranza contro se stessi. Queste malvagità possono essere vinte seguendo gli insegnamenti della propria casta.
L'Induismo non vede il peccato come un crimine contro Dio, ma come un atto contro Karma (ordine morale) e contro se stessi.  Lo si pensa come cosa naturale (anche se infelice) che una anima agisca erroneamente, perché essa vive in nescienza, avidya, il buio dell'ignoranza. 
L'Hindi trova difficile la proposizione di un uomo che soffra per i peccati di un altro, perché questo rende il loro ordine morale dell'Universo irreale nel tenere gli uomini sotto "l'illusione" di poter peccare quanto uno vuole ed essere ultimamente salvato dalla Grazia di Dio. La salvezza nell'Induismo si può ottenere in tre modi: la via della sapienza sapendo che uno è parte del finale Brahman e non una separata entità; o la via della devozione che è amore e devozione ad una particolare deità; o la via dei lavori, seguire rituali cerimoniali. Questa salvezza viene da interminabili cicli di nascita, morte e rinascita. Secondo la dottrina del Karma e trasmigrazione, l'uomo non ha bisogno di un salvatore perché ognuno deve espiare i propri peccati in successive rinascite finché abbia raggiunto 'mukti', liberazione o salvezza. Per la legge del Karma durante una interminabile serie di rinascite l'anima miete quello che ha seminato in una vita, o di miseria o di benedizione, nella futura rinascita.

 Il peccato nel Buddhismo

Il Buddhismo non riconosce l'idea soggiacente al peccato. Nel Buddhismo esiste una “Teoria di Causa-Effetto”, nota come coproduzione condizionata applicata dal karma . In generale, il Buddhismo illustra le intenzioni come la causa del karma, classificate come buone, cattive o neutrali. Inoltre, molti pensieri nella mente di un qualsiasi essere vivente possono essere anche loro negativi, costituendo questi un karma mentale invece che verbale o fisico.Vipaka, il risultato o la conseguenza del proprio karma, può comportare una bassa qualità della vita, distruzione, malattia, stress, depressione e tutte le possibili disarmonie della vita, come può invece generare una buona vita, felice e armoniosa. Le buone azioni producono buoni risultati, mentre quelle cattive producono cattivi risultati. Il karma e il vipaka sono le proprie azioni e il loro risultato.
I cinque precetti (pañcasīla nella lingua pāli) costituiscono il codice fondamentale dell'etica buddhista per i laici, che sono accettati per libera scelta da quanti intendono seguire gl'insegnamenti di Gautama Buddha. È una comprensione di base degli insegnamenti buddhisti su come porre fine alla sofferenza:
  1. accetto la regola di astenermi dal distruggere creature viventi;
  2. accetto la regola di astenermi dal prendere ciò che non mi è dato;
  3. accetto la regola di astenermi da una cattiva condotta sessuale;
  4. accetto la regola di astenermi dal parlare scorrettamente;
  5. accetto la regola di astenermi dall'uso di sostanze intossicanti che alterano la lucidità della mente.
Questo conduce ad evitare le più immediate cause della sofferenza e a potersi dedicare con maggior profitto alla pratica di profonda visione e di raccolto acquietamento, il cui frutto finale è l'uscita dal saṃsāra, il ciclo della rinascita. Dopodiché, si raggiunge il nirvāṇa, la liberazione definitiva, nel Buddhismo primitivo. Nella successiva sezione degli insegnamenti, il concetto di peccato si lega sempre al karma e contempla una sofferenza che la persona vive nel presente, causata dalla sua stessa negligenza. Il peccato più grave è la convizione di non possedere la natura di Buddha, quindi di essere vittime delle casualità e non fautori del proprio destino. Tutto diventa negativo e la persona perde ogni controllo di sé e del proprio ambiente.




2 commenti:

Sari ha detto...

Ho letto con grande interesse questa "vetrina" che guarda al peccato nella visione delle varie religioni. Complimenti.
Il peccato, secondo me, è una rottura comunque, sia che la s'intenda fatta a Dio che agli uomini (e quindi a sè stessi).
Sento peccato qualunque cosa che non porti o produca bene. Ed infatti, quando qualcosa si guasta o non va a buon fine, diciamo: peccato.
Grazie per questo vostro impegno.
Buona settimana santa.
Sari

Legolas Helda ha detto...

Carissima sari! Lascia che sia io stesso a ringraziare te anche a nome di Galadriel, per averci donato la tua attenzione ed il tuo tempo! Oltre al commento lasciato sempre con molto garbo, il quale trova il mio più totale assenso. Non a caso nella Bibbia il peccato è sinonimo di rottura di quel legame che esiste tra Dio e la sua creatura. Peccato,ovvero separazione, da Dio, che essendo puro e Santo non può avere nulla a che vedere con il peccato.
Particolare significato assume la frase di Cristo Gesu' che prima di spirare sulla croce ove portava sù di sè l'onta del peccato universale, disse: Eli, Eli, lamassa bactani! Ossia: Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?
Lunga vita e prosperità a te carissima Sari e pace ad ogni essere umano!